lunedì 30 maggio 2011

Recensione di Antonio Romano: "Almeno mi racconto"


Per “Almeno mi racconto” di Daniela Rindi
di Antonio Romano


Alla fin fine ho letto più di duecento pagine, e un’idea me la sono anche fatta. Sommaria, un’idea sommaria, come ogni idea.
La prima idea che mi viene in mente è che ogni racconto parta come macroscopia di un’attesa. Un momento di sospensione: un risveglio, un richiamo, una lettura... la protagonista sta sempre facendo qualcosa che poi verrà interrotto da qualcos’altro. E allora ogni incipit è attesa dell’evento.
Che si tratti della bella Elisa o della donna cannone (anche l’insegnante di pag.102 è un’ex-obesa), di una fame reale o immaginata o di una malattia, che sia un’esclusione volontaria o eterodiretta, le protagoniste sono fuori dal mondo. Sole: la solitudine dei personaggi è la seconda idea che mi sono fatto. Se penso alla morte di Francesco e alla storia che ha con una delle protagoniste, solitudine mi pare quasi riduttivo come termine
La terza idea è: che gusto c’è nella descrizione dei dettagli (mi viene in mente il tomino a pag. 67). Alla Rindi piacciono i dettagli, ma solo per poi abbandonarli. Descrizioni fini a loro stesse, perché i problemi o le aspettative o i sentimenti delle protagoniste sono una cosa, il mondo esterno è esterno: accozzaglia di fenomeni. Quindi la terza idea è: il mondo interiore e quello esterno sono inconciliabili, il secondo è tendenzialmente deludente (cfr. PpdiP). Deludente in maniera buffa, che alla fine è solo una delusione per le aspettative, se non te le fai non rimani deluso.
Quarta idea, quella che mi piace di più: il sesso. Non alludo tanto alla mammina de “Il bivio”, che pure vorrei incontrare. Non alludo alla ragazza che può comandare al secchione della classe di mettersi un cucchiaio nel culo (pag.107), che non vorrei incontrare. Alludo al fatto che l’unico rapporto con gli uomini consista o, immaterialmente, in una chimera (una serie di fraintendimenti, delusioni e/o contrasti) o, materialmente, in una scopata o allusione della medesima.
E i personaggi femminile (che i personaggi possono essere vari, ma il femminile rimane uno: e lo chiamerei Elisa) ora lo so perché sono isteriche: sono in attesa di qualcosa, sole, scollegate da un mondo deludente, complicatamente sessualizzate. L’impressione che mi hanno dato è che manchi a tutte loro uno scopo. «I suoi sogni di attrice non vennero ascoltati» (pag. 35).

Detto ciò delle signore, vorrei passare ai signori, concentrandomi però su un singolo racconto, e non passando a volo radente come prima. “La giostra” è un racconto a due voci, più una che non conta.
Protagonisti della scena sono due coglioni, che stanno davanti a una giostra... o a un calcinculo, non saprei dire. È un racconto enigmatico, che addirittura definirei kafkiano, con uno schizzo di Ionesco.
È anche evidente la tensione omosessuale insita nel racconto, con questo calcio – chiaramente fallico – che vuole andare nel culo di qualcuno. Direi di Angelo, visto che Andrea è quello che sostiene l’esistenza del calcinculo. Dunque Angelo è il passivo, Andrea l’attivo.
Ma i personaggi, nella loro lunare comicità, nella loro ricerca di un’improbabile giostra con due bandiere, altro non sono se non l’emblema della ricerca di un luogo dove dimenticare le loro inadeguatezze. E il regista rappresenta in modo lampante il Super Io, che riporta alla realtà il passivo Io (Angelo) e il prepotente volitivo sboccato Es (Andrea).
Ma la mano di Daniela riesce a creare un idealtipo omosessuale così affabile che verrebbe quasi voglia di abbracciarlo, di confortarlo e di confermargli la nostra solidarietà: “Angelo” vorrei dirgli “Angelo, non trattenerti più: dì che sei finocchio. Confessa!”. Ma Daniela non calca le tinte e lo lascia immerso in questa diatriba col Andrea.
E allora, nell’accomiatarmi da questa ridda d’impressioni sul libro di Daniela, vorrei sostenere i seguenti due punti: è un libro che meriterebbe di essere usato per spiegare alle donne che vogliono scrivere come cominciare a farlo concretamente, è un libro che dovrebbe essere tenuto distante dagli uomini, troppo concentrati sul proprio pisello per essere in grado di scrivere decentemente i personaggi femminili.
Infine un grido d’incoraggiamento: Angelo, per quanto tu sia un pederasta impenitente, ti accettiamo così come sei. We love you!

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