mercoledì 16 aprile 2008

La bambola di pezza


Mi si è formato un bolo di saliva in gola, che ho difficoltà a buttar giù. Ognuno ha un cadavere sul cuore e quello che adesso mi sta tornando in mente percorrendo via Nazionale, è il mio. Mi piacerebbe fosse ancora al mio fianco, fermarci a guardare le vetrine, istigandomi a comprare! Sì, le piaceva quando acquistavo qualcosa per me. Sapeva che era una coccola e me la concedeva, lei. Ma questa è un'altra storia. Odio le scarpe scomode e i tragitti, vorrei essere teletrasportata da un punto all'altro. Non m’interessa quello che c'è nel mezzo. L'alluce del piede sinistro mi batte sulla punta della scarpa, provocandomi una fastidiosa scossa elettrica, chissà perché? La mia camminata sui tacchi è deambulante e sgraziata, potrei dare l'impressione di essere una tossica, per fortuna nessuno si sta interessando a me. Mi fermo in un bar per far riposare i miei piedi, ordino un caffè e un bicchier d'acqua. Prendo la zuccheriera, quella con il beccuccio: uno due, tre, quattro…il barista mi guarda, "sì, mi piace amaro", cinque! Devo fare pipì, la mia vescica non riesce a trattenere nessun tipo di liquido per non più di un quarto d'ora. E' fastidioso lo so, ma il vantaggio è di non avere le cosce deformate dalla cellulite, che non è poco. Scendo una scala stretta con le pareti rivestite di carta da parati, finto mattone. Il loculo in cui è incastrato il cesso è oscenamente sporco, fortunatamente c'è un enorme rotolone di carta igienica, che uso abbondantemente. Ringrazio e riprendo la mia marcia scomposta. E' già buio e stasera non ho tanta voglia di andare da lui, "amore ho fatto tardi, non riuscirò a prendere il treno delle ventuno e zero sette". Il tono della sua voce è freddo, irritato, come sempre. Mi sento in colpa, mi fa sempre sentire in colpa. E' un diritto che gli ho concesso quando l'ho conosciuto, quando mi sono affidata a lui, illudendomi, ipotecando la mia ritrovata felicità. Ma si è dissolta in un attimo, con la routine. Non ripeterei l'errore, ma è andata così. Le vetrine sono tappezzate di scritte che t’invitano all'acquisto scontato, mi piacerebbe quella gonna strana, che sembra una coperta. Ma non ho tempo, non posso perdere anche il treno delle ventuno e quarantotto. Un vagabondo si è ritagliato uno spazio per dormire sul marciapiede, fregandosene dei passanti, faccio fatica a non calpestarlo. A suo modo è una persona libera, più libera di tanti altri. Chissà come stanno le bambine? Lasciarle mi fa sempre sentire male, anche se secondo me hanno capito. Se potessero, farebbero lo stesso, sono convinta. A nessuno piace essere maltrattato e vivere nell'angosciosa repentinità dei cambi d'umore di qualcun altro, anche se di un padre, un marito, tra l'altro mai presente. Non si capisce perché gli uomini, in famiglia, si sentano in diritto di far soffrire, con atteggiamenti prepotenti e superbi. Un retaggio di "padre padrone". Un giorno le bambine potranno scegliere di andarsene anche loro, di andare e tornare a piacimento. Non le biasimerò. Sono arrivata, il tasso di alcolisti concentrato alla stazione Termini è altissimo, a quest'ora vengono fuori come funghi dopo la pioggia. All'interno non c'è molta gente, per lo più balordi e questo m'inquieta, anche se anch'io mi sento una balorda. Nonostante l'aspetto elegante e curato, so di essere marcia dentro. Non so perché faccio questa cosa, ma continuo a farla, ogni volta che mi è possibile. Forse perché una vita vale l'altra. Mi sento come una bambola di pezza. Guardo il tabellone delle partenze, Latina binario tredici. Mi guardo anche gli orari del ritorno, bene, non dovrei avere problemi domani. Ho fame e tiro fuori il cellulare: "Amore tu hai già cenato? Ah, si? …No non importa, non preoccuparti…prenderò qualcosa". Vado a comprarmi dei fetidi panini da Chef-express, mi serve una ragazza di colore dal sorriso rassicurante. E' una perla che mi viene regalata in questa situazione desolata. Mi avvio al binario e mi siedo sulla panca di marmo, dall'alto una perdita goccia, formando una pozza d'acqua per terra. Mi riscappa la pipì. Più avanti una coppia di ragazzi sporchi si rolla una canna. Mangio i miei panini voracemente, vergognandomi anche un po', una grassa filippina mi sta guardando dall'interno del treno. Mi fumo anche una sigaretta. Salgo, guardo l'orologio, sono un po' in anticipo e decido di leggere qualche pagina. In questi giorni mi sta accompagnando Wallace, che non mi semplifica la vita! Finalmente il treno parte, lasciando lentamente la stazione, come un grosso, pesante e stanco verme di ferro. Guardo fuori, adesso è veramente molto buio, domani tornerò in tempo per prendere le bambine a scuola...come sempre.