venerdì 11 novembre 2011

II Presentazione dell'antologia PARADOSSI 18/11/2011


Un'altra serata all'insegna dello smantellamento del senso comune vi aspetta, sempre a Roma, presso la Libreria L'Eternauta (via Gentile da Mogliano, 184)!

Venerdì 18 novembre 2011 dalle 18.30, accanto a uno sfizioso aperitivo, potrete gustare il divertente lavoro della logica che si ingegna a decostruire sé stessa, raccolto nell'antologia PARADOSSI, a cura di Daniela Rindi e Carlo Sperduti, patrocinata dalle associazioni culturali "Flanerì" e "Golia".

LETTURE E INTERVENTI DI:
Bruno Di Marco, Eva Clesis, Girolamo Grammatico, Angelo Elle, Giovanni Di Muoio, Anna Profumo, Claudio Esposito, Carolina Cutolo, Leonardo Battisti, Angelo Zabaglio, Antonio Romano, Mariano Macale, Umberto Cutolo, Ilaria Mazzeo

recensione di Fernando Bassoli su Flanerì e Agoravox





"Almeno mi racconto" di Daniela Rindi, presentato alla libreria Feltrinelli di Latina

Questa raccolta di racconti brevi (ben 48) di Daniela Rindi può definirsi l’opera postmoderna di una donna che sembra avere recepito nella sua scrittura, non so quanto consapevolmente, i ritmi veloci e imprevedibili del nostro contraddittorio tempo, col suo caratteristico bombardamento di informazioni che giungono da mille fonti, spesso lasciandoci storditi, se non travolti.

Mai come oggi, chi si ferma è perduto. Si corre, oh se si corre. Col corpo e con la mente, ma prigionieri di una sorta di effetto-giostra che dilata corpi e colori e relativizza tutto, perfino il senso di inadeguatezza della donna-cannone, icona della diversità in senso lato, protagonista della novella d’apertura, col suo piccolo dramma personale dell’obesità, che gli altri non possono minimamente capire o accettare.

L’uomo, poi, ci mette sempre del suo per complicarsi la vita. “Viviamo in un mondo di paradossi ed il bello è che cerchiamo sempre la logica delle cose, il senso, la motivazione…” scrive l’autrice, fornendo così un’altra importante chiave di lettura dei suoi testi. In questo innato bisogno di approfondire sta forse una spiegazione della nostra eterna infelicità e della relativa inquietudine…

La frenesia del quotidiano, la banalità omologante del tirare a campare che inquina la nostra società fa mancare tragicamente gli stimoli culturali giusti, stemperando le emozioni forti, facendole morire in gola. Rendendoci automi/consumatori senza spirito critico. Non a caso alcuni personaggi rindiani sembrano vivere una sorta di osmosi (a tale proposito si legga “Dis-play”) con diavolerie tecnologiche di ogni genere, dal navigatore di “Tom”, un racconto dal finale davvero riuscito e sorprendente, fino alle mille opzioni offerte dall’uso del pc, da facebook alle infinite chat esistenti, dalle classiche e-mail ai forum di discussione fino agli anti-virus.

Tutte cose divenute rapidamente familiari, che promettevano di moltiplicare relazioni, occasioni di conoscenza e condivisioni di esperienze. Il risultato è stato però opposto: la molteplicità delle possibilità ha finito per rendere tutto maledettamente effimero, sterile, fino a svuotarci dell’entusiasmo iniziale (“Anche a Milano ci si può annoiare, se ci si mette d’impegno”). Ed è forse da questo senso di umiliante, insopportabile svuotamento, di percezione della propria singolare inutilità, che nasce l’esigenza di scrivere.

Perché scrivere vuol dire provare a costruire storie per ritagliarsi un mondo rassicurante come il grembo materno (vedasi “La bolla-mondo”) dove dimenticare la pesantezza di giorni sempre uguali, ritrovare la propria autenticità e riscoprirsi problematici individui e non semplici numeri o, peggio, utenti, magari tornando – seppure per poco – bambini, costantemente alla ricerca di quell’amore che inseguiamo disperatamente per tutta la vita. Spesso illudendoci di averlo trovato, perché l’importante è sempre e comunque sognare la felicità (almeno questo lasciatecelo). La vita è così complicata? Almeno raccontiamoci.

Il libro, che a Latina è stato presentato da Feltrinelli l’8 novembre con letture di Rossana Carturan, è distinto in due parti chiamate: “Microstorie isteriche di donne quasi sane” e la speculare versione al maschile. Microstorie, sì: perché un certo minimalismo, formale e sostanziale, è il filo rosso dell’opera, a conferma di una tendenza generalizzabile a gran parte degli autori del terzo millennio.

Guardiamo molto al nostro ombelico: inutile negarlo. Nella società dell’immagine per antonomasia questo è inevitabile. Ma la Rindi riesce ad andare oltre perché, buon per lei, ha capito che il bello della narrativa è che gli asini possono volare – sta lì la differenza col giornalismo, che è prima di tutto cronaca del reale –, i cani parlare, le nuvole indossare vesti pregiate, gli alberi fumare sigarette. E dunque non si lascia sfuggire l’occasione di sorprendere il lettore con alcune trovate che ne evidenziano talento e determinazione. Cerca inoltre di donare una piacevole leggerezza alle proprie storie attraverso un linguaggio chiaro e scorrevole, coniugato con la capacità di non prendersi troppo sul serio che è tipica delle persone curiose, perché affamate di vita.

Il risultato finale, questo promettente “Almeno mi racconto”, è un omnibus che fissa sul foglio un percorso di vita lungo e tortuoso. Esso offre alcuni dei suoi momenti più interessanti nei flash dedicati al rocambolesco lavoro di attrice (quasi un corso di sopravvivenza), svelando i retroscena di quel matto e intrigante mondo, pieno di nevrosi, che c’è dietro una rappresentazione. Un mondo dove non è tutto oro quel che luccica, anzi.

Interessante, in particolare, appare la “denuncia-sfogo” della corruzione morale presente nel racconto “Crepino gli artisti”: “Intellettuali depressi e depravati, un branco di sfigati che autocelebrano le loro frustrazioni”.

Alla presentazione latinense sono intervenuti molti artisti e amici dell’autrice, tra i quali Chiara Biondi, Bruno Di Marco, Stefano Cardinali, il Premio Strega Antonio Pennacchi, Carlo Miccio, Massimiliano Lanzidei, Roberto Cerisano, Franca Forzati, Gian Luca Campagna, Luca Baldini, Filippo Cosignani, Leonardo Vernillo, Clarita Pucci, Giusi e Carlo Coluzzi, Paola Acciarino, Roberto Fargnoli.

Deve infine aggiungersi che il libro è impreziosito non poco da una copertina di sicuro effetto, firmata Bruno Di Marco. Anche l’occhio vuole la sua parte.

di Fernando Bassoli (sito)
sabato 26 novembre 2011 - 0 commento

mercoledì 9 novembre 2011

Recensione di Fernando Bassoli 9/11/11


Recensione di "Almeno mi racconto", di Daniela Rindi
post pubblicato in consigli di lettura, il 9 novembre 2011
Narrativa contemporanea/Almeno mi racconto, di Daniela Rindi
post pubblicato in Diario, il 8 novembre 2011
Questa raccolta di racconti brevi (ben 48) di Daniela Rindi può definirsi l’opera postmoderna di una donna che sembra avere recepito nella sua scrittura, non so quanto consapevolmente, i ritmi veloci e imprevedibili del nostro contraddittorio tempo, col suo caratteristico bombardamento di informazioni che giungono da mille fonti, spesso lasciandoci storditi, se non travolti.


Mai come oggi, chi si ferma è perduto. Si corre, oh se si corre… col corpo e con la mente, ma prigionieri di una sorta di effetto-giostra che dilata corpi e colori e relativizza tutto, perfino il senso di inadeguatezza della donna-cannone, icona della diversità in senso lato, protagonista della novella d’apertura, col suo piccolo dramma personale dell’obesità, che gli altri non possono minimamente capire o accettare.
L’uomo, poi, ci mette sempre del suo per complicarsi la vita. “Viviamo in un mondo di paradossi ed il bello è che cerchiamo sempre la logica delle cose, il senso, la motivazione…” scrive l’autrice, fornendo così un’altra importante chiave di lettura dei suoi testi. In questo innato bisogno di approfondire sta forse una spiegazione della nostra eterna infelicità e della relativa inquietudine…
La frenesia del quotidiano, la banalità omologante del tirare a campare che inquina la nostra società fa mancare tragicamente gli stimoli culturali giusti, stemperando le emozioni forti, facendole morire in gola. Rendendoci automi/consumatori senza spirito critico. Non a caso alcuni personaggi rindiani sembrano vivere una sorta di osmosi (a tale proposito si legga “Dis-play”) con diavolerie tecnologiche di ogni genere, dal navigatore di “Tom”, un racconto dal finale davvero riuscito e sorprendente, fino alle mille opzioni offerte dall’uso del pc, da facebook alle infinite chat esistenti, dalle classiche e-mail ai forum di discussione fino agli anti-virus. Tutte cose divenute rapidamente familiari, che promettevano di moltiplicare relazioni, occasioni di conoscenza e condivisioni di esperienze. Il risultato è stato però opposto: la molteplicità delle possibilità ha finito per rendere tutto maledettamente effimero, sterile, fino a svuotarci dell’entusiasmo iniziale (“Anche a Milano ci si può annoiare, se ci si mette d’impegno”). Ed è forse da questo senso di umiliante, insopportabile svuotamento, di percezione della propria singolare inutilità, che nasce l’esigenza di scrivere. Perché scrivere vuol dire provare a costruire storie per ritagliarsi un mondo rassicurante come il grembo materno (vedasi “La bolla-mondo”) dove dimenticare la pesantezza di giorni sempre uguali, ritrovare la propria autenticità e riscoprirsi problematici individui e non semplici numeri o, peggio, utenti, magari tornando – seppure per poco – bambini, costantemente alla ricerca di quell’amore che inseguiamo disperatamente per tutta la vita. Spesso illudendoci di averlo trovato, perché l’importante è sempre e comunque sognare la felicità (almeno questo lasciatecelo).
La vita è così complicata? Almeno raccontiamoci!


Il libro, che a Latina è stato presentato da Feltrinelli l’8 novembre con letture di Rossana Carturan, è distinto in due parti chiamate: “Microstorie isteriche di donne quasi sane” e la speculare versione al maschile. Microstorie, sì: perché un certo minimalismo, formale e sostanziale, è il filo rosso dell’opera, a conferma di una tendenza generalizzabile a gran parte degli autori del terzo millennio.
Guardiamo molto al nostro ombelico: inutile negarlo. Nella società dell’immagine per antonomasia questo è inevitabile. Ma la Rindi riesce ad andare oltre perché, buon per lei, ha capito che il bello della narrativa è che gli asini possono volare – sta lì la differenza col giornalismo, che è prima di tutto cronaca del reale –, i cani parlare, le nuvole indossare vesti pregiate, gli alberi fumare sigarette. E dunque non si lascia sfuggire l’occasione di sorprendere il lettore con alcune trovate che ne evidenziano talento e determinazione. Cerca inoltre di donare una piacevole leggerezza alle proprie storie attraverso un linguaggio chiaro e scorrevole, coniugato con la capacità di non prendersi troppo sul serio che è tipica delle persone curiose, perché affamate di vita.
Il risultato finale, questo promettente “Almeno mi racconto”, è un omnibus che fissa sul foglio un percorso di vita lungo e tortuoso. Esso offre alcuni dei suoi momenti più interessanti nei flash dedicati al rocambolesco lavoro di attrice (quasi un corso di sopravvivenza), svelando i retroscena di quel matto e intrigante mondo, pieno di nevrosi, che c’è dietro una rappresentazione. Un mondo dove non è tutto oro quel che luccica, anzi...
Interessante, in particolare, appare la “denuncia-sfogo” della corruzione morale presente nel racconto “Crepino gli artisti!”: “Intellettuali depressi e depravati, un branco di sfigati che autocelebrano le loro frustrazioni...”.
Deve infine aggiungersi che il libro è impreziosito non poco da una copertina di sicuro effetto, firmata Bruno Di Marco. Anche l’occhio vuole la sua parte.

Daniela Rindi, Almeno mi racconto (Edizioni il Foglio) pagg. 200, Euro 15,00


Fernando Bassoli

venerdì 4 novembre 2011

Recensione su www.aphorism.it di Sabina Mitrano



Almeno mi racconto

di Daniela Rindi

editore: Ass. Culturale Il Foglio

pagine: 210

prezzo: 12,75 €

Acquista!

Un volo a mezz’aria tra vita reale e irrealtà, tra ciò che è e che può o “rischia” di essere, questa la sensazione forte che emerge dalle pagine della raccolta di Daniela Rindi, “Almeno mi racconto”, che già dal titolo lascia trasparire l’irrefrenabile volontà dell’autrice di comunicare, di esprimere il proprio universo interiore, e il modo che esso sceglie per raccontare quello esteriore. Un viaggio da assaporare tutto d’un fiato, nonostante la divisione in brevi e significativi racconti, attraverso la vita di una donna e quella di un uomo, a cui rispettivamente sono dedicate le due parti del libro.
Nella prima parte si avverte forte il desiderio di aprire un sipario sulle debolezze, le paure, gli errori di una donna, che vive in modo autentico, profondo e mai superficiale, il desiderio di essere amata, di comprendere gli uomini, siano essi partner, padri, amici reali o virtuali; la difficoltà di realizzazione professionale o di coniugare quest’ultima con un’esistenza vera, con bisogni intimi e sentimentali. Con alcuni tratti autobiografici, questi racconti colpiscono nella spontaneità e nella semplicità con cui l’autrice riesce a “raccontare” pensieri, sogni, azioni e reazioni, spesso con arguta ironia: la donna in carriera che è vinta dalla solitudine; la donna grassa che preferisce lavorare in un circo piuttosto che subire gli occhi compassionevoli dei conoscenti; la donna che supera le barriere paterne per il desiderio di diventare attrice; oppure quella che dopo fallimentari relazioni sceglie un’amicizia femminile agli insuccessi di passioni al gusto di “cime (di rapa) tempestose”! Insomma, voglia di spiccare il volo, voglia di esistere davvero, come l’autrice fa scrivendo.
La parte del libro dedicata agli uomini appare, invece, come un viaggio, che parte dall’ingenuità dell’infanzia, in cui per un bacio - solo promesso - si può fare un volo disastroso di 5 metri, fino alla solitudine della vecchiaia, in cui la perdita del contatto con la realtà diviene mortale. Uomini che affrontano sconfitte, che ingannano o sono ingannati, uomini delusi dalle proprie donne oppure colti nella loro incomprensibile caparbietà o crudeltà. Tutti personaggi, uomini e donne, che ci mostrano inesorabili le nostre intime debolezze, i difetti più segreti, ad uno specchio ironico e spietato sulle verità (e falsità) della nostra coscienza.

recensione di Sabina Mitrano

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