domenica 26 aprile 2009

Il mio reading con Anonima Scrittori a Bergamo






Breve racconto di Daniela Rindi per Anonima Scrittori (Resistenza 2009)
La donna cannone

Venghino signori venghino nel magico mondo del luna park! Divertimento, giochi curiosità vi aspettano! Sollazzi frizzi sfizi di ogni genere per grandi e piccini! Mostri talenti e scherzi della natura saranno a vostra disposizione! Venite tutti nel paese dei balocchi, venite a divertirvi con noi, maestri senza eguali nell’abile arte della finzione! Questa sera un’attrazione speciale…solo per voi e giunta da un paese lontano, forse neanche di questo mondo, da un’altra galassia… l’eccezionale… impressionante… magnifica… immensa… mostruosa…Donna Cannone!

Mi chiamo Natasha, Nasti per gli amici. Sono una donna grassa, grassissima, ma con un bel viso, almeno così dicono tutti, aggiungendo poi:-peccato però…-. Sottintendendo il mio fisico, è chiaro. Ma è come se mi dicessero:- saresti normale se… non ti mancasse una gamba!-.
Loro non capiscono.

Sì, perché essere molto grassi è come essere dei disabili, portatori di handicap, dei diversi. La gente non ti guarda negli occhi, ma osserva curiosa e schifata il tuo enorme culo, le tue braccia dilatate, la circonferenza esagerata dei tuoi fianchi. Mai ti guarda negli occhi, anche se ce l’hai molto belli. Sono il riflesso dell’anima, diceva sempre mia madre.
Non guardandomi negli occhi.

Sì anch’io ho un’anima, però nascosta sotto una tonnellata di lardo. Ho iniziato ad ingrassare a vent’anni, per un’inspiegabile malattia del sangue. Dopo circa ventitré anni hanno scoperto la causa: un’eccessiva produzione d’insulina. Questa si ricrea continuamente perché non riconosce gli zuccheri. Almeno così ho capito, ma adesso non me ne frega più niente.
Dovevano scoprirlo allora.

La mia Via Crucis me la sono già fatta, non è stato facile accettare a vent’anni un cambiamento di peso e di corpo così repentino. Prendevo venti chili l’anno. Nel giro di tre anni sono diventata un’obesa arrivando a pesare centoventi chili. Da lì ho continuato solo ad aumentare.
Fu drammatico per me.

Non sono più uscita di casa per ben cinque anni. Come facevo? Non potevo sedermi a nessun bar, perché non entravo nelle sedie, non potevo andare al cinema per lo stesso motivo. Anche trovare dei vestiti adatti era difficile. Dovevo servirmi in negozi specializzati per taglie extra large, che non avevano certo capi alla moda, ma solo vecchi camicioni demodé che mi facevano sembrare una vecchia.
Che imbarazzo.

I dottori mi dicevano di fare del moto, della corsa, ma come potevo, mi veniva subito l’affanno e poi mi vergognavo, mi guardavano tutti come se fossi un mostro. Anche i miei amici, ex compagni di scuola avevano lo stesso sguardo, solo che loro cercavano di mascherarlo un po’. E’ terribile avere la consapevolezza di essere stata una bella ragazza e improvvisamente risvegliarsi in un’orchessa senza forme, un fenomeno da baraccone. Il mio ragazzo mi lasciò quasi subito. Appena aumentata dei primi dieci chili mi disse:- Non capisco cosa ti stia succedendo? Ma mangi di nascosto? Così mica mi piaci…- .
E si fidanzò con la mia migliore amica.

Non so come sono riuscita a non impazzire. Non credo che siano stati i diciotto anni di autoanalisi. Quelli mi hanno solo aiutato ad accettare il mio stato razionalmente, ma davanti allo specchio ancora mi metto a piangere. C’ho messo una vita per infondermi un po’ di coraggio. Mi sono pure sottoposta ad un intervento all’intestino, mi hanno inserito un bypass. Non credevo ai medici che dicevano fosse un ingrassamento spontaneo, non alimentare. Potevo credergli invece.
Mi sarei risparmiata l’intervento.

Dopo molti rifiuti a causa del mio aspetto sgradevole, per fortuna ho trovato un lavoro. Mi hanno assunto come cuoca in una mensa aziendale. Chiusa lì dentro tutto il giorno non davo fastidio a nessuno. –Si vede che ti piace mangiare eh?- mi dicevano e con questa battuta priva di spirito si giustificavano tutti la mia grassezza. Quel lavoro mi distraeva un po’, mi faceva uscire di casa, ma non nutriva il mio spirito paradossalmente anoressico. Quello continuava a dimagrire, a seccarsi come una foglia caduta. Avevo bisogno di un po’ di linfa, altrimenti mi sarei persa per sempre.
Mi licenziai.

Mia madre non me lo perdona ancora oggi. – Sei una pazza!- diceva – come fai a credere di trovare un altro lavoro come questo?-. Non aveva tutti i torti, ma io non volevo lavorare, volevo studiare quello sì che mi piaceva. E così feci. Mi buttai sui libri voracemente. Cominciai ad interessarmi di esoterismo, di yoga, medicina ayurvedica, massaggi shiatsu, bioenergetica, bionutrizione, Reiki, tutte quelle cazzate lì e iniziai a frequentare un corso dopo l’altro, prendendo specializzazioni, lauree di ogni tipo. Mia madre sempre dietro:- ma vuoi andare a lavorare? Io mica posso mantenerti a vita? Ci fosse almeno ancora tuo padre!-.
Scoprii ben presto che aveva ragione.

Avevo capito che oltre al fisico esiste l’anima, ma non quella che mi avevano insegnato a catechismo. Una sfera interiore che si poteva sviluppare, potenziare, tanto da rivelarmi un potere speciale nelle mani. La capacità di trasmettere un calore che dà sollievo. Non sapevo se fosse anche salutare, ma ci provai lo stesso.
Fu un disastro.

Le clienti dubitavano di una donna tanto grassa, di una che non riusciva a guarire neanche se stessa e persi in breve ogni affidabilità, nonostante le lauree, gli attestati, le specializzazioni. Loro continuavano a vedere una cosa sola.
Il mio grosso culo.

Un giorno andai al luna park e vidi Robert che stava annunciando l’inizio dello spettacolo, la presenza eccezionale dell’”uomo scimmia”. Comprai il biglietto ed entrai dietro il tendone. Quando lui uscii dalla quinta ebbi come una scossa e tutti i pop corn mi caddero per terra. Non potevo credere all’esistenza di un altro mostro.
Peggiore di me.

Una mano mi picchiò sulla spalla, era Robert, mi disse subito che ero bellissima, che non aveva mai visto tanta sana opulenza, che avevo un bel viso, che avrebbe voluto lavorassi per lui. La paga non sarebbe stata un granché, ma avrei potuto condividere la sua roulotte. Tutto questo mi disse in un attimo.
Guardandomi negli occhi.

Alla sera sono stanca, senza energia, ma almeno sono felice. Al termine della giornata, quando si spengono le luci, si smontano le giostre e si rientra nelle proprie roulotte per ripartire, mi fermo un attimo ad osservare il cielo, i pianeti e mi ritrovo in mezzo a tante stelle. Io sono sempre in un cielo diverso.
Ma questo mi basta.

Venghino siori e siore venghino…nel magnifico paese dei balocchi!

P.P. di P. pubblicato da BooksBrothers


P.P.di P.,
di Daniela Rindi

Quando scherzare con la sacralità e la ritualità di un certo mondo intellettuale può condurre a spiacevoli e inaspettate conseguenze. Una cartolina surreale e divertente sul mondo di alcuni, spesso autoreferenziati, collettivi letterari (R. Ferrante)

P.P. di P.
(Peli del Pube di Pavia)
di Daniela Rindi


E’ un grigio e molto milanese pomeriggio d’inverno. Mi sto annoiando a casa, tentando telepaticamente di trasformare un foglio bianco in qualcosa di leggibile. Anche a Milano ci si può annoiare se ci si mette d’impegno. Squilla il telefono. E’ Mario che mi invita a casa di un amico dove si svolgerà un reading, che altro non è che una lettura ad alta voce di un testo, a Pavia. Accetto e aspetto che passi a prendermi. Pavia è una cittadina deliziosa abitata principalmente da studenti universitari. Camminando per il centro si ha l’impressione di vivere in un campus.

Mario è un mio caro amico meridionale. Anche lui scrive e lo fa con genialità e fantasia. Lo considero uno sperimentatore, un pioniere della scrittura, anche se a volte non ci capisco proprio niente. Però sono i suoni delle sue frasi che mi prendono, l’armonia delle parole, anche se incomprensibili. Uno stile completamente diverso dal mio, quindi ammirevole. Facciamo parte di un’associazione di scrittori, quasi anonima, perché siamo tutti dilettanti, che si deliziano in racconti e in esperimenti di scrittura collettiva. Ognuno ha le sue paranoie!

I suoi genitori si trasferirono a Milano tanti anni fa per i soliti motivi economico-lavorativi e non sono mai più tornati a casa. Mario però si sente molto legato alla sua terra, visceralmente, come tutti gli uomini del sud. Se la sentono dentro, hanno un grande senso di appartenenza, si aiutano, si spalleggiano, fanno clan. E’ difficile entrare a far parte del loro giro, ammettono qualcun altro solo dopo un’attenta selezione. Poi però ti danno anima e cuore, proprio come Mario.

Suona il citofono, infilo il piumino ed esco. Fa un freddo cane a Milano, la odio anche per questo. Io non sono come loro, il rapporto con la mia terra è di odio-amore, in un’alternanza che porta ben poca coscienza al senso d’appartenenza. Sarà il sangue barbaro, chissà. Non mi faccio più di tante domande. Mario è in macchina che mi aspetta, la temperatura interna dell’auto è quello di una sauna finlandese, anche lui odia il freddo. Gli do un casto bacio e partiamo.

E’ un uomo sagace, mi diverte parlare con lui, passiamo un’ora buona a parlare del senso di disperazione con cui si vive oggi, dell’eccessiva consapevolezza della parte oscura che s’inculca ai bambini, del senso oppressivo del dovere, dell’incapacità di vivere con leggerezza, analizzando cause ed effetti. Una conversazione allegra e divertente. Arrivati a Pavia, parcheggia l’auto davanti ad un bel palazzo ottocentesco e citofoniamo ad un interno…il numero 33. “Trentatre trentini….” questa filastrocca comincia a martellarmi nella mente.

In ascensore mi spiega che sono quasi tutti suoi compaesani e che legge solo chi ha già pubblicato qualcosa di buono. Sottinteso per loro. Ci accoglie una ragazza poco più che ventenne, presentandosi come la padrona di casa. Gli altri ospiti sono tutti radunati in gruppetti, come alle feste del liceo, quando le insicurezze regnavano sovrane e l’unico modo per superarle era mimetizzarsi tra la folla o attaccarsi al primo volto conosciuto. Anche se poi per strada non l’avresti mai salutato. Mario si avvicina ai suoi amici, ideatori e coordinatori del reading.

Quello molto grasso, con le mutande di fuori e jeans oversize, capisco essere la mente, quello carino dalla pelle diafana e implume, il cuore e poi il toscano, con i capelli lunghi neri, dall’aspetto rivoluzionario, sembra il Che…un toscano? Strano penso…dev’essere un genio! Il reading ha inizio, i lettori, autori vengono presentati dal ragazzo obeso, mentre il biondino prepara tela e colori e si organizza per dipingere a terra. Bella trovata. Le letture si susseguono incalzanti, ogni volta interpretate con voce e tono diversi, ma è proprio l’esibizione che mi sconcerta.

Il primo autore ha uno strano tic, a termine di ogni frase, ha come un rumoroso risucchio faringoesofageo che mette l’ansia. Il secondo, invece di leggere compitamente, delira, urlando le parole a decibel intollerabili, data l’ora, dandosi ogni tanto anche una grattatina. Bevo vino, fumo sigarette e mi grattugio la testa istintivamente. Il terzo lettore è una donna, questo particolare desta in me attenzione. La sua voce soave mi trasporta nella lettura, è delicata, dolce…troppo dolce…lenta…troppo lenta…monocorde…troppo…ho un colpo di sonno.

Mario dall’altra parte della sala mi saluta con un fischio, io mi sveglio di soprassalto, interrompendo lo sbadiglio con un mezzo sorriso. A questo punto decido di passare al piano B, frugo nella borsa e trovo l’I-pod, meno male! La musica assordante nelle orecchie mi fa superare questo brutto momento, fino a quando non mi scappa la pipì, che corrisponde, per fortuna, ad un piccolo intervallo per gli autori.

Mi avvio al bagno, quando mi accorgo che dietro di me si sono piazzati i fantastici tre: il cuore, la mente, il toscano. Mi spingono all’interno e chiudono la porta a chiave. Io non capisco, mi immobilizzano con la forza, mi tirano giù i pantaloni e lo slip, ho paura, urlo, mi tappano la bocca. Il ragazzo grasso prende dal mobiletto un paio di forbicine e comincia a tagliuzzarmi…i peli del pube! Lo guardo inorridita raccoglierli e infilarli dentro una scatoletta rossa. Il ragazzo carino mi toglie la mano dalla bocca e con un pennarello segna sul coperchio la cifra: 33. Mi lasciano libera, riaprono la porta e mentre stanno uscendo gli domando stupita:
- Perché avete fatto questo…? Loro si guardano, si sorridono e il Che mi risponde…
- Perché volevamo il tuo scalpo!-
Nella mia testa ritorna la nenia “…entrarono in Trento tutti e trentatre trotterellando!”.
25/04/2009

sabato 11 aprile 2009

Una giornata qualunque (tratto da "Lussuria")


Una giornata qualunque


“ Sembra che tu stai pensando a tantissime cose, ma non sai da dove cominciare…”.
(Virginia 7 anni).

E’un bellissimo pomeriggio d’inverno, il sole è tiepido e irradia gioia. Come quella che Elisa ha nel suo cuore. Non c’è un motivo particolare. E’ una di quelle magiche giornate dove tutto è perfettamente allineato e quindi armonico. Dall’addome parte una strana energia che s’irradia in tutto il corpo e s’allunga all’esterno. Forse è questo che chiamano Aurea. Decide di farsi una passeggiata per il centro, sotto i portici e guardare le vetrine, un’attività che si concede raramente, dato i suoi impegni. Poi a dirla tutta, non è neanche che le piaccia particolarmente, poiché detesta camminare senza una meta precisa. Mentre le scorrono affianco le vetrine, viene attratta da uno strano allestimento fatto tutto di cioccolata….un intero paese montano costruito con cioccolata bianca, nera, al latte. Fantastico! Decide d’entrare nella pasticceria, anche per premiare lo sforzo scenografico, ingegnoso e impegnativo. Il negozio è enorme e pieno di scaffali, ognuno carico di ogni tipo di dolciumi, di cioccolatini, caramelle, zuccherini…le sembra la casa di Hansel e Gretel. Prende un cestello e comincia a far la spesa. Non sa resistere, anche se i dolci non sono mai stati la sua passione. Mentre vaga da uno scaffale all’altro, gettando nel carrello ogni sorta di scatole colorate, si scontra con un uomo che le fa cadere tutta la spesa per terra.
-Scusa! Non ti ho vista, perdona- .
Dice il tipo accucciandosi per raccogliere i resti.
-Nulla…nulla…anch’io ero sovrappensiero…ahia! Porc…! Mi hai fatto male però…alla fronte!-
Elisa si tocca il viso ed effettivamente viene fuori un bel bernoccolo sulla fronte!
-Sono mortificato! Posso accompagnarti in un bar per metterci un po’ di ghiaccio?-.
-No, non preoccuparti abito qui vicino…-
-Allora mi devi concedere di accompagnarti, con tutta la spesa!-
Elisa è titubante…
-No, non è necessario…-
Il ragazzo insiste, prende il cestello, va alla cassa, paga tutto e la invita ad uscire dal negozio. Elisa è colpita dalla sua gentilezza. E’ un uomo affascinante e sicuro di sé, anche alto, che non guasta mai. Fuori ha fatto buio ed Elisa è in imbarazzo…
-Ma non è necessario, creda…-
- Insisto, almeno questo, dove abita?-
-A pochi isolati da qui…-
Elisa cammina affianco a quest’uomo sconosciuto, sentendosi stranamente vicina.
Arrivati al portone, tenta ancora una volta di farlo indietreggiare, ma lui non cede. Vuole aiutarla a portare su la spesa.
Apre il portone, salgono in ascensore e arrivano al pianerottolo. Lei con movimenti imbarazzati gira la chiave e lo fa entrare. Si dirige verso la cucina e lui posa le buste sul tavolo. Approfittando del senso di disorientamento e del buio, la prende e la china sul tavolo, buttando per terra le buste. Le alza la gonna, si sbottona i pantaloni e prima che lei abbia il tempo di realizzare glielo infila tutto dentro. Elisa è senza parole, vorrebbe protestare per questa presa di posizione, ma non ne ha il coraggio, il suo gesto audace la eccita e la rende inerme. Si sente bussare alla porta…
-Oddio è lui…!-
L’uomo, pronto, la trascina dietro il divano e la fa sdraiare a terra, lui sopra di lei…
-Shhh! Silenzio!- Dice lui.
- Vediamo chi è e cosa vuole…-
-Amore…sei in casa?
-E’ lui! Me l’aspettavo!- Dice Elisa sottovoce.
L’uomo la penetra silenziosamente, Elisa ha un sussulto.
-Ci sei? …mi dispiace…-
Lui entra ed esce piano piano dentro di lei…
-Ho detto che mi dispiace…-
Elisa sta per rispondere, allora l’uomo le da una spinta più forte, un’altra ancora, Elisa sta per gemere…Lui si ferma e le mette una mano sulla bocca…. Lei gli sorride, mentre lui sta per esplodere…
- Ma non volevo offenderti…evitarti…-
Lui la penetra nuovamente, stavolta senza remore, lei è calda, accogliente, non si trattiene, sta per venire, le sta per uscire un lamento…si blocca nuovamente e lui la bacia per zittirla… Elisa respira forte. Lui fa fatica a resistere…Questa è la più bella scopata che abbia fatto in vita sua!
-Chi è quest’uomo?-
Sussurra lui all’orecchio, ricominciando a penetrarla dolcemente…
-Un amico, un caro amico…-
-Perché è qui adesso?- Lui continua il movimento del bacino, lento e inesorabile, ma lei non risponde.
Lui si ferma. La guarda.
-Allora?-
Senza risposta. Lui comincia nuovamente a spingere forte, sempre più forte, fino a che …lei…
Elisa si attorciglia sotto il suo corpo, come tramortita, trasportata da lui, che le fa fare quello che vuole…
-Siiii…-
Lui le copre nuovamente la bocca.
- Allora, chi è, cosa vuole da te?-
-Non lo so!
-Dimmelo!-
E continua a spingere, con più ardore, le allarga le gambe, le accarezza le cosce, gli afferra il sedere, se la spinge a se, fino a sentirsi tutto dentro, fino a possederla completamente… Lei cerca di trattenersi…di soffocare il piacere…lui ancora e ancora…
-Cosa vuole da te! Dimmelo!-
Elisa, frastornata, presa, al limite dello spasmo, irretita, avvolta, tenuta, sottomessa, soggiogata, inebetita, catturata, conquistata, innocente…
- Ma che cavolo ne so io!-