lunedì 21 marzo 2016

nuova recensione su giroma.it di Antonella Rizzo

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Creato Lunedì, 21 Marzo 2016 | Data pubblicazione | Scritto da Antonella Rizzo | Stampa | Email
 “E fu sera, e fu mattina”.
Un titolo dal sapore biblico per l’ultimo romanzo diDaniela Rindi pubblicato da Intermezzi Editore, un atto creativo compiuto che ricalca, nella cadenza dei giorni segnati dall'autrice, una genesi metafisica e kafkiana ambientata nella quotidianità. 
La Rindi ha una intuizione felice nella stesura del romanzo, la recherche del particolare nel microcosmo familiare, il coraggio di desacralizzare la relazione e descrivere in fotogrammi dall’intensità crescente e dai piani sequenza drammatici un rapporto culturalmente escluso dall'analisi: la feroce dolcezza della consuetudine familiare. 
La strategica sobrietà della trama, oscurata dalla crescente intensità della parola conduce il lettore a un finale visionario e aperto senza ricorrere a scenari d'effetto. C'è bisogno di un lavoro introspettivo profondo e una complicità assoluta con sé stessi per orientarsi nella destrezza delle pulsioni scomode senza incorrere nella solita operazione noir di effetto ma priva di contenuto. 
In realtà il lavoro della Rindi è molto lontano da una speculazione di questo tipo e dalle ultime generazioni di thriller, anzi, si avvicina molto di più al romanzo realista temperato americano di inizio 900 per la modernità dell’impianto narrativo che abbatte il sentimentalismo senza una eccessiva franchezza verbale cara invece ai francesi.  Il ricorso ad accostamenti interdisciplinari nella nota finale del romanzo ad opera della stessa autrice, che rimandano al simbolismo di Magritte, rivelano una vocazione alla ricerca e alla libertà interiore che non subisce la coercizione del rapporto affettivo in quanto tale. 
Molto intensi appaiono i dialoghi tra madre e figlia, parole-frasi o richieste pressanti, calati in un rapporto di tensione dialettica molto forte e fisica, parassitaria a tratti, completamente spogliata da quei corredi ipocriti di sostantivi e aggettivi di circostanza che invece di impreziosire vanno a banalizzare i dialoghi. In effetti l'incubo è una percezione realistica di sensazioni legate a momenti di tensione materiale, vitale di un vissuto momentaneo di dolore di cui la malattia rappresenta un momento di squilibrio tipico con gli odori, sapori, visioni in totale dissonanza armonica con lo stato di benessere. 
Quello che potrebbe sembrare un epilogo fantastico, annebbiato dal movente dell’allucinazione patologica, è una rottura fisiologica di un dualismo che si fonda sul legame pervasivo del rapporto genitoriale, fino al compimento della sua funzione naturale ed equilibrata. Un ottimo testo, sperimentale e  che conferma le qualità indiscusse di Daniela Rindi.

martedì 19 gennaio 2016

la recensione di thebookcaseofmymind

E fu sera e fu mattina, di Daniela Rindi

rindi_copertina
Di solito vi parlo di romanzi ma questa volta vi parlo di un racconto lungo che mi è stato gentilmente inviato dalla casa editrice Intermezzi.
Marta e Irene sono madre e figlia. Non vivono in una situazione idilliaca ma nemmeno particolarmente disagiata. L’unico vero disagio è dentro di loro. Un giorno, la piccola Irene sembra essersi ammalata di varicella e Marta sa che dovrà tenerla a casa per qualche giorno. E’ un po’ un problema, perché questo significa che anche lei dovrà stare a casa dal lavoro, ma pazienza. Tuttavia, dopo una strana nottata, Marta sembra non volersi svegliare. Irene decide quindi che dovrà solo aspettare che si svegli da sola…
Se un buon romanzo ti consuma un po’ alla volta, un racconto breve ben scritto ti scotta. E’ quello lo scopo. Ti colpisce, ti lascia senza parole (o con un sorriso ebete, se l’argomento è positivo, o con un grosso punto di domanda, se si tratta di mistero, e via dicendo) e in genere il commento finale è qualcosa del tipo: << Nuooooooo! >>
Almeno, a me è successo così.
“E fu sera e fu mattina” è un racconto claustrofobico, incalzante, terribile. Durante la lettura una parte del tuo cervello sa a cosa sta andando incontro, coglie gli indizi, ma l’altra non ci crede, non l’ascolta e costruisce altre interpretazioni. La vicenda è da un lato semplice, quasi banale, dall’altra terrificante e metafora (o almeno io l’ho vista così) della solitudine, fisica, morale, esistenziale, che può ancora esistere in una società come la nostra e che anzi, a volte viene maggiormente accentuata divenendo una prigione da cui è difficile uscire e di cui in realtà nessuno si accorge. Forse nemmeno chi ci vive dentro.
La scrittura è rapida, adeguata al ritmo del romanzo. Non si sofferma troppo sui particolari ma fornisce abbastanza dettagli (o indizi) perché il quadro in cui tutto si svolge ci sia perfettamente chiaro. Anzi, quando l’attenzione viene posta sui particolari, forse anche i più insignificanti, è probabile che sia stato fatto di proposito.
Il racconto è breve, quindi non posso parlarne oltre senza rischiare di cadere nello spoiler. Lo consiglio a tutti coloro che amano le atmosfere piene d’ansia, in puro stile thriller, con spruzzate di horror e fantasmi infantili.
Il mio voto:
5 stelle